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REATI AMBIENTALI

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Il diritto penale ambientale può interessare un'ampia categoria di imprese commerciali anche non direttamente coinvolte in cicli produttivi. L'eventuale incolpazione degli esponenti aziendali può comportare sanzioni molto afflittive anche alle società, essendo i reati ambientali previsti dall'art. 25-undecies del D.lgs. 231/01. Per mitigare tale rischio vale la pena di introdurre gli strumenti di prevenzione idonei, tra cui i modelli organizzativi.
 

La Legge 22 maggio 2015, n. 68 ha riformato i reati ambientali con l’obiettivo di innalzare il livello di protezione della salute e del patrimonio naturalistico.

Il titolo VI-bis del Codice penale contempla ora i “Delitti contro l’ambiente” agli articoli da 452-bis a 452-terdecies, dove sono previsti i nuovi reati ambientali. Per i fatti più gravi la legge ora prevede pene alquanto elevate.

 

Inquinamento (art. 452 bis Cp) e disastro ambientale (art. 452 ter Cp) rappresentano i cardini del sistema. 

 

L'inquinamento viene punito con pene detentive che vanno da un minimo di 2 ad un massimo di 6 anni, mentre il disastro sanziona la condotta tipica con la reclusione da 5 a 15 anni di reclusione. È stata prevista inoltre la pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per le fattispecie di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico ed abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo e traffico illecito di rifiuti (già previsto all'interno del Codice dell’Ambiente). 

 

Con l'aggravio delle pene pure i termini della prescrizione  hanno subito un allungamento. 

 

È stata introdotta la confisca obbligatoria, anche per equivalente, delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto del reato o che servirono a commetterlo, anche per il delitto di traffico illecito di rifiuti. Tale misura risulta tuttavia esclusa ove l’imputato abbia provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi, nonché nel caso in cui detti beni appartengano a terzi estranei al reato. 

 

Per taluni illeciti quali il disastro ambientale, l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e per l’ipotesi aggravata di associazione per delinquere, è stata prevista la confisca quale misura di prevenzione dei valori ingiustificati o sproporzionati rispetto al proprio reddito. Per giunta, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena, il Giudice ora deve ordinare anche il recupero e, se tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo i costi a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del primo. 

 

Significativo, infine, l’intervento in tema di ravvedimento operoso. Quest’ultimo, originariamente previsto come causa di non punibilità, ad oggi opera come circostanza di attenuazione della pena - dalla metà a due terzi, ovvero da un terzo alla metà - in favore di chi, prima della dichiarazione di apertura di apertura del dibattimento di primo grado, eviti che l'attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori, provveda alla messa in sicurezza, alla bonifica o al ripristino dello stato dei luoghi, ovvero collabori concretamente con l'Autorità di Polizia o Giudiziaria alla ricostruzione dei fatti e all'individuazione dei colpevoli.

 

Il D.lgs. 231/01 sulla responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse dai soggetti apicali è stato contestualmente aggiornato, con tutte le conseguenze che ne derivano per le società.

 

Lo svolgimento di alcune attività industriali necessita la preventiva Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.). L'art. 29-quattuordecies del D.lgs. 152/06 punisce con una contravvenzione l'esercizio delle attività sopra citate senza l'autorizzazione e la violazione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione medesima.

 

Gli "scarichi" di sostanze liquide sono trattati in maniera concettualmente differenziata dai rifiuti. Se non consentiti sono puniti, anche a titolo di colpa, dall'art. 137 D.lgs. 152/06.

 

I depuratori possono essere assoggettati sia alla disciplina degli scarichi che a quella dei rifiuti. Rientrano nei rifiuti qualora il trattamento delle acque reflue produca fanghi.

Nelle imprese agricole è necessario distinguere le attività di scarico dall'utilizzazione agricola quale concime finalizzato alla immissione nel terreno di sostanze nutritive. Quest'ultima è consentita solo entro certi limiti (art. 137, comma 14).

 

"Rifiuto" è qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi. Sul piano della prova processuale la qualifica di rifiuto a volte è di complesso accertamento.

 

L'art. 192 del D.lgs. 152/06 vieta l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti e l'immissione di rifiuti liquidi o solidi nelle acque superficiali o sotterranee. Tali condotte vengono sanzionate dall'art. 255 del medesimo decreto se si tratta di privati cittadini. Qualora esse siano commesse da titolari di imprese esse sono sanzionate più aspramente con pene graduali a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi o non pericolosi (art. 256, c. 2, D.lgs. 152/06).

 

Queste attività devono essere tenute distinte dalle attività di "discarica" e "smaltimento" non autorizzate (art. 192, comma 3, D.lgs. 152/06), che hanno carattere di continuità, oltre ad essere assistite da un certo tipo di organizzazione di persone e mezzi. Tendenzialmente la discarica di rifiuti è caratterizzata altresì dal degrado dell'area consistente in un'alterazione permanente dello stato dei luoghi. Un deposito temporaneo di rifiuti, autorizzato in forza della presenza di tutti i requisiti di legge, viene qualificato discarica qualora il deposito superi un anno di tempo e a seconda dalla quantità dei rifiuti. Qualora il sito autorizzato non fosse qualificabile alla stregua di deposito temporaneo, perché i rifiuti risultano prodotti altrove ed ivi trasportati, potrebbe trattarsi di un'attività di "stoccaggio" finalizzato allo smaltimento oppure al recupero. Anche lo stoccaggio, decorso un determinato periodo di tempo, viene considerato discarica.

 

La realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata è punita con contravvenzioni che prevedono l'arresto ed ammende elevate (art. 256, c. 3).  Alla sentenza di condanna segue la confisca dell'area e l'obbligo di bonifica e ripristino dei luoghi.

 

L'art. 256 comma 6 prevede sanzioni per il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi, con conseguente eventuale incriminazione della direzione della struttura ospedaliera. 

 

L'art. 187 vieta la miscelazione di rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La sanzione penale per la violazione a tale divieto è prevista dall'art. 256, comma 5. 

 

Esistono reati anche in materia di autorizzazione. L'art. 256, comma 1 punisce la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento, il commercio e l'intermediazione di rifiuti (quindi qualsiasi attività di gestione dei rifiuti) in mancanza delle prescritte autorizzazioni con contravvenzioni oblabili o non oblabili a seconda che si tratti di rifiuti non pericolosi o pericolosi.

 

La mera violazione delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni è punita ai sensi del comma 4 della medesima norma con pene ridotte della metà.

Lo smaltimento di rifiuti diversi di quelli autorizzati costituisce mancanza dell'autorizzazione. L'autorizzazione si riferisce ad uno specifico sito. Non esistono forme di autorizzazione in sanatoria.

 

Le materie prime secondarie possono essere avviate ad attività di recupero nel luogo di produzione previa comunicazione di inizio attività alla provincia. L'art. 256, comma 1, punisce l'esercizio di tali attività in assenza della prescritta comunicazione. 

 

L'art. 212 prevede che per svolgere determinate attività in materia di gestione di rifiuti bisogna essere iscritti nell'apposito albo nazionale dei gestori ambientali. Anche la mancata iscrizione nell'albo costituisce reato (art. 256, c. 1) parimenti al venir meno dei requisiti richiesti (comma 4).

 

Il "traffico illecito di rifiuti" è una contravvenzione prevista dall'art. 259, c. 1, e consiste nella spedizione transfrontaliera di rifiuti in contrasto con le regole stabilite dalla normativa comunitaria. Si tratta di spedizioni senza notifica, comunicazioni, autorizzazioni alle autorità competenti, o effettuate in modo che che lo smaltimento risulti in contrasto con la normativa comunitaria. Alla sentenza di condanna per traffico e trasporto illecito dei rifiuti segue la confisca dei mezzi di trasporto utilizzati (art. 259 c. 2).

 

Il d.lgs. 152/2006 prevede altri reati in materia di rifiuti che concernono la tenuta degli appositi registri (art. 258), le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, la bonifica dei siti (art. 257). Vi sono inoltre reati posti a tutela dell'inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico (art. 279 D.lgs. 152/06). 

 

In generale, si tratta di una disciplina alquanto complessa, da sempre assoggettata a continui interventi legislativi, di cui la difesa dovrà tenere conto nel predisporre la strategia difensiva con il Cliente.

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