Introdotte per contrastare l'accumulo e il riciclaggio di capitali illeciti, queste misure dovrebbero essere utilizzate per privare alcuni tipi di criminalità dei beni e delle risorse finanziarie ottenute tramite attività illecite. 

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Misure come sequestri, confische, cauzioni, amministrazione e controllo giudiziario di aziende, possono essere applicate anche in via preventiva, senza la necessità di una condanna penale definitiva, basandosi su sospetti derivanti da prove indiziarie della provenienza illecita delle risorse. Più precisamente, esse non si fondano sulla responsabilità penale derivante da un reato commesso, bensì sulla pericolosità sociale in vista di un reato che si sospetta possa essere commesso in futuro. Quindi le misure di prevenzione (assieme a quelle di sicurezza, ormai abbastanza desuete), divergono dalla sanzione penale per via del loro presupposto, che non è costituito dall’accertamento della responsabilità penale del soggetto, bensì dalla sua pericolosità sociale in ottica programmatica.

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In Italia, queste misure sono disciplinate dal Codice Antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), più volte modificato nel corso del tempo, le cui origini sono molto più risalenti. 

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Allo stato attuale, tuttavia, esse possono essere applicate anche per prevenire fenomeni criminosi rispetto ai quali la mafia non c’entra nulla, poiché nel corso del tempo si è assistito ad un costante allargamento del loro campo di applicazione, che ormai non le rende più eccezionali.

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Non presupponendo esse la commissione di un reato, si pongono al limite estremo del sistema, ma ciò nonostante esse, in presenza di determinati presupposti, sono state considerate legittime dalla Corte Costituzionale e dalla Corte EDU.

In questo panorama si pone il problema della tutela dei terzi colpiti da queste misure, i cui diritti (reali e di credito) non dovrebbero essere pregiudicati, sicché essi hanno la facoltà di intervenire nel procedimento, allegando ogni elemento utile per evitare la confisca.