1. È appena stato abrogato l’abuso d’ufficio, delitto contro la pubblica amministrazione, previsto dall’art. 323 Cp.
Con l’abuso d’ufficio veniva sanzionata penalmente la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, che non astenendosi di fronte ad un proprio interesse, procurava a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale.
D’altra parte, nessuno vorrebbe avere a che fare un pubblico ufficiale che operi in conflitto d’interesse a discapito di altri consociati.
2. Nel luglio 2020 il perimetro dell’abuso d’ufficio era stato adeguatamente ristretto alle violazioni più gravi: l'inciso «violazione di norme di legge o di regolamento» era stato sostituito con quello attuale di «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
L’intento legislativo del 2020 fu quello di eliminare dal campo penalmente rilevante la violazione delle norme di fonte regolamentare e il mancato rispetto dei principi generali, anche di rango costituzionale, nei limiti in cui tali principi non fossero esplicitati tramite specifiche norme di legge. Si voleva far sì che per consumare un abuso d’ufficio occorresse una violazione di legge specifica e non un principio generale del diritto, non tradotto in nessuna norma.
3. Nonostante la chiara intenzione legislativa, sfociata nella parziale abolitio criminis, le cose sono andate diversamente ed è giusto che qualcuno se ne assuma le responsabilità.
Infatti, una parte della giurisprudenza ha continuato ad interpretare la norma alla vecchia maniera, anteriore alla riforma del 2020. Così, ad esempio, si è sostenuto che potesse costituire abuso d’ufficio la violazione del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., il quale esprimerebbe una specifica regola di condotta (v. ad es. Cass. Pen. 1, n. 2080/2022, ud. 6.12.2021), benché esso non sia espressamente contemplato da nessuna legge.
Sono quindi fioccate altre condanne, nonostante la sfera di rilevanza penale di questo tipo di abuso fosse stata ristretta dal legislatore alle violazioni più gravi e nette, le uniche assoggettabili alla sanzione penale.
Invero, il reato era stato correttamente riformulato nel 2020, sennonché è la sua erronea interpretazione, tesa a reprime anche violazioni di principi non tradotti in norme di legge, a risultare inadeguata.
4. Preso atto della palese distorsione interpretativa di una parte della giurisprudenza, il legislatore ha preferito abrogare il reato.
Sarebbe preferibile che la condotta abusiva di un incaricato di pubblico servizio, che anteponga i propri interessi per trarne vantaggio continuasse ad essere sanzionata penalmente. Tuttavia, a fronte della erronea applicazione della norma, che ha consentito l’emanazione di sentenze profondamente ingiuste negli ultimi anni, che sanzionavano violazioni non contemplate da nessuna legge, si è dovuto optare per il male minore: l’abrogazione del reato.
Verrebbe da dire: che ognuno si assuma le proprie responsabilità e chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
5. Vale la pena ricordare che il legislatore ha anche appena introdotto un nuovo reato contro la pubblica amministrazione all’art. 314-bis Cp: l’«indebita destinazione di denaro o cose mobili». Questa fattispecie punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, condotte che non rientrano espressamente nei casi di peculato previsti dall’articolo 314 Cp. In particolare, viene punito il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto. Pertanto viene sanzionato quello che un tempo si chiamava «peculato per distrazione» e che dopo la riforma del 1990 veniva ricondotto all’abuso d’ufficio.
6. In sintesi si può affermare che i casi più gravi previsti dal reato abrogato di abuso d’ufficio, ovvero quelli di destinazione di beni o denaro di cui il pubblico ufficiale ha la disponibilità ad uso diverso da quello consentito, sono ora puniti da un altro reato, previsto dall’art. 314 bis Cp. Quelli meno gravi non sono più previsti dalla legge come reato, essendo stati abrogati.
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