di R. Bergaglio - 29 Novembre 2023
Accadeva che durante le operazioni di stoccaggio il lavoratore, dopo aver trasportato a mezzo di un carrello elevatore un carico di tubolari di acciaio, discesone e arrampicatosi sopra uno scaffale rialzato per posizionare meglio il carico, veniva schiacciato sotto il peso dei tubolari, che per la sua imprudente condotta gli rovinavano addosso.
L’operatore, tratto a giudizio con il datore di lavoro, era stato assunto con mansioni di impiegato tecnico, ma poi destinato all’espletamento di attività da magazziniere senza aver ricevuto a tale scopo adeguata formazione.
La sentenza in commento, da un lato costituisce una novità, poiché per la prima volta si esprime direttamente sulla responsabilità del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, la cui condotta, contestata in regime di cooperazione colposa, viene ritenuta causalmente rilevante, mentre non viene ritenuta degna di accertamento la posizione di garanzia.
Dall’altro lato, fiutata la scia di precedenti giurisprudenziali inerenti alla responsabilità di altri soggetti involti nell’organigramma d’impresa, la portata innovativa della decisione si affievolisce, inducendo riflessioni sul dato normativo, che lascia spazio ad interpretazioni diverse, in grado di nuocere ai cardini su cui dovrebbe fondarsi l’accertamento della responsabilità penale.
1. La condanna del RLS in sintesi
Nella sentenza in esame, si attribuisce al soggetto eletto o designato per rappresentare collettivamente gli interessi dei lavoratori in tutto quel che concerne gli aspetti della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, la responsabilità, a titolo di cooperazione colposa ex art. 113 c.p., della morte di un lavoratore. Nello specifico, il soggetto è stato condannato per «aver concorso a cagionare l’infortunio mortale attraverso una serie di contegni omissivi, consistiti nell’aver omesso di promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori».
La condanna desta particolare interesse poiché riguarda un soggetto, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), non certo apicale nell’organigramma d’impresa ed invero neppure in quello della sicurezza lavorativa, con tutte le conseguenze che potrebbero derivarne qualora tale impostazione dovesse consolidarsi, benché essa non costituisca una novità in senso assoluto.
Il fulcro nodale della doglianza mossa dalla difesa nel giudizio di legittimità, affonda le radici nell’asserita assenza nel Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro (TUSL) di un’esplicita disposizione di legge che addossi formalmente al RLS una posizione di garanzia da declinarsi secondo il suo usuale significato: rispetto ad un bene giuridico da proteggere, nel caso in questione, l’incolumità dei lavoratori, non impedire un evento dannoso, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (cfr. art. 40 cpv. Cp). Il ricorrente evidenzia inoltre la mancanza di poteri impeditivi da parte del RLS in grado di incidere sulle decisioni del datore di lavoro.
A fronte di un ricorso così impostato, la decisione in commento sceglie volutamente di glissare sulla sussistenza di una reale posizione di garanzia in capo al RLS, adducendo che essa non assumerebbe rilevo e ritenendo sufficiente l’avere accertato che la condotta di costui abbia causalmente contribuito alla verificazione dell’infortunio mortale in chiave di cooperazione colposa.
In sentenza, il dettagliatissimo elenco di ‘attribuzioni’ del RLS, contenuto nell’art. 50 del D.lgs. 81/2008, si risolve con un richiamo generico alla violazione dei ‘compiti’ ivi descritti, riscontrata dai giudici di merito. Più precisamente, il rigetto del ricorso viene motivato spiegando che l’imputato non avrebbe ottemperato a tali compiti, laddove avrebbe consentito che il lavoratore «fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza avere ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori».
Non rivelerebbe, secondo i supremi giudici, l’accertamento di una reale posizione di garanzia in capo al soggetto.
2. Le norme poste alla base della decisione
Muovendo dalle norme poste alla base della condanna, vale la pena evidenziare che secondo l’articolo 50, c. 1, TUSL, il RLS, tra le varie ‘attribuzioni’, «e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali; g) riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista dall'articolo 37; h) promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori; m) fa proposte in merito alla attività di prevenzione; n) avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività; …». Inoltre, i commi 4 e 5 dell’art. 50 del TUSL prevedono espressamente che il RLS, possa farsi consegnare dal datore di lavoro il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) previsto dall'art. 17, c. 1, lett. a) nonché il Documento di Valutazione dei Rischi da Interferenze (DUVRI) previsto dall’art. 26, c. 3 del medesimo testo unico.
Tramite il citato richiamo all’art. 37, contenuto nella lettera g) dell’art. 50 del TUSL, il legislatore stabilisce che il RLS «ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi» (art. 37 c. 10), le cui modalità, durata e contenuti specifici sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale (art. 37, c. 11).
Dalla sintesi normativa riportata, cui la sentenza, «richiamati i compiti attribuiti dall'art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza», allude in maniera del tutto generica, senza specificare quale parte della norma l’imputato avrebbe violato, emerge, invero, come il RLS sia (o dovrebbe essere) in possesso di tutti gli strumenti per valutare adeguatamente i rischi delle lavorazioni incidenti sulla salute e sulla incolumità degli altri lavoratori e per sollecitare (non adottare) le idonee misure di prevenzione presso il datore di lavoro o, a seconda del caso, i soggetti apicali.
In via interpretativa, deve inferirsi che, per i giudici di legittimità, promuovere l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori (art. 50, lett. h), fare proposte in merito all’attività di prevenzione (lett. m), avvertire il datore di lavoro dei rischi individuati durate il lavoro (lett. n), includa entrambe le cautele concausali dell’infortunio, che la Corte ha ritenuto colposamente omesse anche dal RLS: l’avere consentito che la persona offesa, dotata della qualifica di impiegato tecnico, venisse adibita a mansioni di magazziniere, attività comportante l’utilizzo di un carrello elevatore e lo spostamento di pesanti tubolari d’acciaio riposti in cima ad uno scaffale, senza essere stata preventivamente formata in maniera adeguata; non avere sollecitato i vertici aziendali ad adottare modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori.
3. Gli addebiti colposi specifici: l’omessa sollecitazione di formazione specifica rispetto a mansioni diverse attribuite al lavoratore
Quanto alla prima delle due violazioni, entrambe contestate in via omissiva, dalla lettura della motivazione si apprende che «il lavoratore C.C., assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico, svolgesse di fatto anche le funzioni di magazziniere, senza averne ricevuto la corrispondente formazione (comprensiva dell'addestramento all'utilizzo del carrello elevatore)».
Sul piano del rapporto causale con l’evento verificatosi, i giudici di legittimità hanno evidentemente ritenuto che una formazione ed un addestramento inadeguato o mancante, si pongano tra i fattori che hanno cagionato l’evento. La scelta appare conforme a giurisprudenza costante (v. ad es. Cass. Pen., Sez. IV, 2.03.2020, u.p. 13.02.2020, n. 8163; Cass. Pen., Sez. IV, 18.11.2020, dep. 19.02.2021, n. 6486), anche se, come sempre accade in questi casi, non è dato accertare se una risorsa umana adeguatamente istruita si sarebbe effettivamente astenuta dall’azione poi risultata fatale. Se appare plausibile ritenere che un individuo adeguatamente formato a svolgere una determinata attività, la realizzi in maniera tale da non nuocere alla propria incolumità (e a quella degli altri), onde la ritenuta rilevanza causale della carenza formativa, nella prospettiva difensiva, ci si permette di evidenziare come, invero, non sia possibile stabilire con idonea certezza che la stessa persona, adeguatamente formata, avrebbe agito correttamente in tale circostanza. In ogni caso, la giurisprudenza è granitica sul punto.
Per quanto rileva in questa sede, tra le attribuzioni del RLS sopra richiamate (art. 50 lett. h, m, n) rientra senz’altro anche quella di sollecitare presso il datore di lavoro la formazione di un lavoratore che ne risulti sprovvisto, rispetto a mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto. Di conseguenza, secondo la giurisprudenza, la mancata sollecitazione presso il datore di lavoro, della formazione dell’operatore addetto al carrello elevatore da parte del RLS, soggetto munito di tali attribuzioni dalla legge, si pone in rapporto causale con l’infortunio mortale verificatosi, ritenendo che un soggetto adeguatamente istruito all’utilizzo di tale strumento avrebbe agito diversamente.
4. Segue: l’omessa sollecitazione di procedure idonee a tutelare la sicurezza del lavoratore rispetto alle mansioni assegnategli di fatto
Quanto alla seconda violazione fondante la condanna, ovvero l’omessa sollecitazione di modelli organizzativi impeditivi di infortuni da parte del RLS, la sentenza non precisa se intenda far riferimento ai modelli di organizzazione e gestione previsti dal D.lgs. 231/2001 (richiamati, per ciò che attiene alla sicurezza, dall’art. 30 del D.lgs. 81/2008), o più semplicemente a quell’organizzazione costituita dai necessari protocolli e/o procedure in tema di sicurezza sul lavoro previsti sempre dal TUSL; da identificarsi in quelle procedure aziendali che stabilendo chi, in quale momento del processo lavorativo e con quali modalità e strumenti debba mettere in atto le varie lavorazioni.
Al riguardo vale la pena di ricordare che le procedure antinfortunistiche dovrebbero essere sempre e comunque previste per regolamentare la prevenzione dei rischi identificati nei possibili infortuni e malattie professionali, a prescindere dalla (volontaria, poiché ad oggi facoltativa) implementazione di un modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/01, idoneo ad individuare e prevenire il rischio di verificazione di un catalogo di reati (societari, contro la pubblica amministrazione, tributari ecc.), del quale i delitti di lesioni ed omicidio colposo costituiscono solo una parte (ancorché molto importante).
Ribadito che l’emanazione di regole procedurali, pur qualificate come modelli organizzativi, idonei alla prevenzione dei rischi inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori, incluse le lesioni o l’omicidio colposo, è sempre obbligatoria (ai sensi del D.lgs. 81/2008), mentre l’adozione dei modelli organizzativi propriamente intesi per la prevenzione (anche) degli altri reati (intesi come modelli ai sensi del D.lgs. 231/2001) ad oggi è facoltativa, si deve ritenere che i supremi giudici abbiano inteso fare riferimento ai primi, vale a dire alla omessa sollecitazione di modelli organizzativi intesi come procedure di prevenzione degli infortuni e delle malattie sul lavoro ai sensi del TUSL.
Peraltro, tale conclusione appare più consona rispetto alla posizione e alle attribuzioni del RLS, il quale non occupa una posizione apicale, tipica del datore di lavoro e dei dirigenti, funzionalmente competenti a adottare un modello di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001. Al contrario, la sua inquadratura, che la stessa sentenza definisce «una figura intermedia di raccordo tra dottore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro», appare idonea a sollecitare solo misure organizzative in tema di sicurezza, sia pure qualificate come «modelli organizzativi», con tutte le incertezze appena accennate, che potrebbero derivarne in via interpretativa, essendo l’espressione utilizzata certamente perfettibile.
Certo è che la promozione e l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori (art. 50 lett. h), l’inoltro di proposte in tal senso (lett. m) oltre alla segnalazione presso il responsabile aziendale dei rischi dell’attività di carrellista all’interno di un magazzino (lett. n) rientra tra le attività del RLS, onde sotto questo profilo non appare fuori luogo l’avere ritenuto il suo contegno omissivo concausa dell’evento mortale.
Sin qui le motivazioni poste a fondamento dell’affermazione della responsabilità penale del RLS. In definitiva, la sentenza in commento, baipassando volutamente qualsiasi considerazione inerente all’attribuzione di eventuali posizioni di garanzia in capo al RLS, perviene all’affermazione della sua penale responsabilità, ritenendo il suo contegno omissivo causalmente rilevante rispetto ai due punti sopra richiamati, inerenti rispettivamente alla formazione e l’organizzazione antinfortunistica aziendale. Per i giudici della Corte Suprema la condotta omissiva del RLS è stata una delle concause dell’evento mortale, inoltre tale omissione è stata da sola sufficiente a determinarlo, assumendo implicitamente che se le violazioni omesse fossero state poste regolarmente in essere l’infortunio non si sarebbe verificato.
5. Sulla sussistenza o meno di una posizione di garanzia in capo al RLS
Benché la sentenza ritenga non pertinente il tema dell’accertamento della sussistenza di un’eventuale posizione di garanzia in capo al RLS, si impongono alcune riflessioni al riguardo, gettando lo sguardo sul panorama giurisprudenziale inerente casi caratterizzati da similitudini.
La motivazione, a ben vedersi, dapprima attribuisce al RLS «un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza del luogo di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro». Sennonché, dopo aver evidenziato l’importante funzione ricoperta da questa figura ed averlo erroneamente definito addirittura 'Responsabile' LS anziché 'Rappresentante' LS (cfr. art. 50 D.lgs. 81/2008), afferma che «nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia … ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento».
Non è questa la sede per trattare analiticamente i fondamenti delle posizioni di garanzia, ivi comprese quelle di protezione, care al diritto del lavoro, le quali presuppongono l’affidamento al garante del compito di tutelare determinati beni, specie la salute e l’incolumità dei lavoratori, da pericoli come quelli che si verificano nel corso delle attività lavorative. Per quanto qui rileva, sia sufficiente osservare che secondo l’impostazione più rigorosa, la posizione di garanzia andrebbe identificata dando rilievo esclusivamente alla giuridicità della fonte. L’art. 40, cpv., c.p., fa espresso riferimento all’«obbligo giuridico di impedire l’evento». Inoltre, il principio di legalità e di riserva di legge di cui all’art. 25, c. 2, Cost., impone che tutti gli elementi costitutivi di un reato trovino ancoraggio normativo, compresa la posizione di garanzia dell’imputato. Pertanto, essa può trovare la propria fonte direttamente nella legge penale ma anche in quella extrapenale, come il contratto, il quale ai sensi dell’art. 1372 c.c. ha forza di legge tra le parti. Tutto questo, ovviamente, vale anche e soprattutto per la sicurezza sul lavoro, ancorché il TUSL talora non delinei in maniera netta alcune figure, lasciando ampi spazzi all’interpretazione.
Infatti, nel caso della pronuncia in esame, riguardante tra l’altro anche un RLS, si ha l’impressione che nell’ambiguità del testo normativo, la Corte abbia deciso di non affrontare il problema, declassandolo addirittura a questione priva di rilievo. A ben vedersi, tale impostazione, pare poco coraggiosa, atteso che un reato omissivo improprio come l’omicidio colposo, dovrebbe essere addebitabile ad un soggetto, a maggior ragione qualora ricopra una posizione che gli imponga di impedire il verificarsi di determinati eventi e non intraprenda le iniziative e le misure necessarie affinché l'evento sia evitato.
Deve essere chiaro, tuttavia, che anche l’attribuzione di una posizione di garanzia, non può in alcun modo sfondare l’alveo personale della responsabilità penale, la quale non può dilagare nel campo della responsabilità oggettiva per nessuna ragione, ancorché legata a qualsivoglia posizione. Ne deriva che l’assunzione di una posizione di garanzia, pur accentuando i profili di responsabilità in capo al garante, essendo costui, in questo modo, deputato ad impedire determinati eventi, non comporta alcun automatismo nell’attribuzione di addebiti penali, ma solo, questo sì, una maggiore esposizione, dovuta agli specifici compiti attribuiti dalla legge o assunti contrattualmente, rispetto all’onere di impedire eventi dannosi o pericolosi.
Ne deriva che anche l’eventuale attribuzione di una posizione di garanzia a figure come il RLS e ad altre a cui il TUSL non assegna espressamente tale funzione, non costituirebbe una statica forca per chi ne venisse investito e non comporterebbe il venir meno agli schemi classici di accertamento della responsabilità penale nei reati colposi omissivi, che presuppongono sempre, comunque ed imprescindibilmente, la violazione di una regola cautelare, specifica (p.es. prevista dal TUSL) o generica di prudenza, diligenza o perizia (fondanti la colpa specifica o generica); la sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento; la concreta prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso o pericoloso che la regola cautelare violata mira a prevenire.
La sentenza, sotto questo importante profilo giuridico, consono, per il vero, al giudizio di legittimità, ha scelto di non attribuire rilievo alla questione, il che potrebbe rappresentare un’occasione sprecata per fare chiarezza su questa importante figura, il RLS, sinora solo lambita dalla giurisprudenza. Essa, tuttavia, prosegue l’apertura di quella breccia che, in costanza delle violazioni di determinati compiti prevenzionistici, può condurre all’affermazione di responsabilità anche di soggetti distanti da quelli apicali.
6. Verso una contaminazione del criterio formale di attribuzione della posizione di garanzia a favore di uno di tipo funzionalistico: la posizione di garanzia di fatto
I detrattori della sussistenza di posizioni di garanzie non esplicitate dalla legge annodano la loro voce critica a questioni terminologiche poste dall’art. 50 del TUSL, facendo distinzioni tra compiti e attribuzioni nonché tra doveri e facoltà. In questa prospettiva è stato osservato che già l’intitolazione alle «Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza» dovrebbe evocare più diritti che obblighi in capo a costui, atteso che laddove il legislatore ha inteso riferirsi agli obblighi lo ha fatto molto chiaramente, come avviene per gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente di cui agli artt. 17 e 18 del TUSL.
Inoltre, si potrebbe osservare che l’art. 299 del D.lgs. 81/2008, rubricato «Esercizio di fatto di poteri direttivi» prevede che «le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art. 2, c. 1, lett. b), d) ed e) [datore di lavoro, dirigente e preposto, ndr] gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti», i quali, pertanto, sarebbero identificabili unicamente nei tre testé indicati dalla norma.
Peraltro, trattasi dell’unica norma del TUSL che fa espresso riferimento alle «posizioni di garanzia», sicché un’interpretazione restrittiva, consona agli schemi classici del diritto penale, improntata al rigore del dato letterale, dovrebbe consentire di attribuire funzioni di garante in materia antinfortunistica solo a coloro che siano stati espressamente investiti della funzione dalla legge; il che significa chiudere il cerchio delle posizioni di garanzia a coloro che, anche meramente di fatto, esercitino le funzioni di datore di lavoro, di dirigente e di preposto, come si ricava dalla lettura congiunta degli artt. 2 e 299 del TUSL.
Tale impostazione ermeneutica, che circoscriverebbe il perimetro di eventuali responsabilità penali a due categorie di soggetti apicali (il datore e il dirigente) e ad uno solitamente in po’ meno apicale (il preposto), unitamente a chi di fatto eserciti tali funzioni, non è scevra di effetti collaterali. Oltre a poter risultare perfino disincentivante rispetto a tutti soggetti non espressamente citati dagli artt. 2 lett. b), d), ed e) nonché dall’art. 299 TUSL, con tutto ciò che ne conseguirebbe per la sicurezza, essa rischia anche di non risultare armonica se confrontata con le qualificazioni giurisprudenziali assegnate agli altri attori, protagonisti o mere comparse, della filiera della sicurezza lavorativa.
Così, poiché neppure il destinatario di una delega di funzioni regolarmente conferita ed accettata in presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 16 del TUSL, viene espressamente citato nella posizione di garanzia, si dovrebbe ritenere che anche per costui valgano le medesime considerazioni idonee ad esentarlo dalle responsabilità connesse alla funzione di garante in caso di infortunio, il che si porrebbe in antinomia con il senso stesso della norma. Invero, nessuno dubita che «gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa» (Cass. S.U., n. 38343 del 24.04.2014, dep. 18.09.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri).
Parimenti, passando ai cantieri edili previsti dal Titolo IV del TUSL, sono ormai consolidati da tempo obblighi prevenzionistici connessi alle responsabilità penali convergenti di Rappresentante dei Lavori (RL), Responsabile Unico del Procedimento (RUP), Coordinatore per la Sicurezza durante la Progettazione dei lavori (CSP) e Coordinatore per la sicurezza durante l’Esecuzione dei lavori (CSE), tutti considerati titolari di altrettante posizioni di garanzia, benché non esplicitamente denominate come tali dalla legge. A mero titolo esemplificativo, si consideri che non è in discussione che ''Il coordinatore per la sicurezza ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella di altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche e può rispondere con essi per un infortunio nel caso di una carente analisi dei rischi presenti in cantiere'' (Cass. Pen. Sez. IV, 05.05.2021, dep. 26.05.2021, n.20810).
Persino il singolo lavoratore può rispondere penalmente delle proprie condotte sul lavoro, sulla base di una posizione di garanzia che gli è stata attribuita dalla giurisprudenza facendo leva sull’art. 20 del TUSL per il quale «Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro» (Cass. Pen., Sez. IV, 16.10.2018, dep. 2.11.2018, n. 49885; Cass. Pen., Sez. IV, 15.05.2014, n.36452). In questa maniera è stato sancito un principio di auto responsabilità del lavoratore a beneficio proprio e dei colleghi, specie qualora costui sia dotato di maggiore esperienza lavorativa.
Allo stesso modo, la Corte di Cassazione, nell’esaminare un incidente mortale addebitato ad un capo cantiere che fungeva pure da RLS, incolpato di avere contribuito a provocare la caduta di un lavoratore da un ponteggio, ha stabilito che con riguardo alla posizione di garanzia assunta dal predetto imputato, ritenuta sussistente dalla Corte di Appello, il ragionamento dei giudici di merito fosse coerente (Cass. pen. Sez. IV, 04.02.2015, dep. 16.03.2015, n. 11135). La sentenza, tuttavia, non motiva autonomamente il passaggio sulla posizione di garanzia e non effettua alcun distinguo in merito alla duplice funzione ricoperta dall’imputato, onde non può essere considerata a tutti gli effetti un precedente per la figura del RLS.
Per il momento, rimane immune dall’assegnazione di posizione di garanzia, ma non della responsabilità penale, solo il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), ancorché la Cassazione abbia ridefinito i confini di un precedente orientamento interpretativo, evidenziando che il RSPP, pur non avendo un ruolo operativo, non può essere considerato un semplice consulente del datore di lavoro incaricato di garantire la sicurezza degli operatori (Cass. Pen., Sez. IV, 04.05.2018, dep. 20.07.2018, n. 34311). L’RSPP, infatti, risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso che promani o sia legato da nesso eziologico al suggerimento mancato od errato, e ancora «per la mancata elaborazione di informazione e di formazione dei lavoratori, tutte le volte in cui l’infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o mal considerata dal responsabile del servizio» (Cass. Pen., Sez. IV, 07.06.2016 n. 30557).
Le tappe storiografiche sopra tratteggiate per saltum, testimoniano, in fin dei conti, un mutato paradigma: muovendo i passi da quel granitico modello iperprotettivo del lavoratore solo creditore di tutela, e incentrato su un obbligo di vigilanza assoluta del datore di lavoro su tutto ciò che concerne l’attività d’impresa ed il suo concreto svolgimento in azienda, la parabola evolutiva del diritto sta convergendo verso un modello di collaborazione, fondato tendenzialmente sulla ripartizione degli oneri di prevenzione e gestione dei rischi tra una pluralità di soggetti, una sorta di stratificazione delle responsabilità e delle tutele, valorizzando le prescrizioni normative vigenti (cfr. art. 20, D.lgs. 81/2008).
In buona sostanza, si sta progressivamente abbandonando, dopo lungo corso, quell’indirizzo fondato sull’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore, che pareva cardine soffocante per il datore di lavoro, specie quando riferito anche a condotte colpose tali da attivare un rischio eccentrico ed esorbitante rispetto alla sfera di rischio governata dal soggetto apicale titolare della posizione di garanzia, per passare a considerare un sistema di protezione fondato sulla prevedibile area di rischio (cfr. att. 17 e 28 TUSL) e delle sue modalità di governo. La preventiva valutazione dei rischi, ove per rischio s’intenda la probabilità di raggiungere un livello potenziale di danno, nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente o alla loro combinazione (art. 2 c. 1, lett. s), rimane appannaggio esclusivo e attività in delegabile del datore di lavoro. Tuttavia, l’accennato mutamento prospettico, attento alle mansioni ed al ruolo effettivo del soggetto, potrebbe costituire chiave di volta per centrare un discorso di simile stampo anche attorno alla figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, rispetto al quale (e oltre il dato testuale), a cospetto degli orientamenti sopra riportati, potrebbe apparire restrittiva la completa esclusione di un suo qualsiasi ruolo di cooperazione (art. 113 c.p.), quantomeno per le ipotesi in cui abbia contribuito causalmente al verificarsi del sinistro, come emerso dal giudizio in commento, per effetto della condotta elusiva delle facoltà a questo attribuite; ciò a maggior ragione considerando i compiti a questi attribuiti dall’art. 50 D.lgs. 81/2008.
Né si comprende perché questa figura non possa ricoprire una posizione di garanzia, sia pure assai meno pervasiva di altre riferite ai soggetti apicali (anche di fatto).
Peraltro, spingendo l’interpretazione oltre le «attribuzioni» indicate nel titolo dell’art. 50 del TUSL, andando a leggerle una ad una, bisogna convenire con i giudici di legittimità, che alcune di esse costituiscono effettivamente dei ‘compiti’. Più precisamente, accanto ad attribuzioni che appaiono mere prerogative, ad esempio laddove si prevede che il RLS sia consultato in ordine alla valutazione dei rischi (lett. b) oppure riceva le informazioni e la documentazione inerente alla valutazione dei rischi e le misure di prevenzione (lett. e), altre appaiono effettivamente dei compiti, basti pensare che costui promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori (lett. h), fa proposte in merito all’attività di prevenzione (lett. m) e avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività (lett. n).
Tali compiti (attribuzioni o quale che sia la denominazione che si voglia affibbiare), rappresentano chiaramente attività che la norma impone positivamente di realizzare al RLS, soggetto che giustamente la sentenza qualifica «una figura intermedia di raccordo tra dottore di lavoro e lavoratori», ancorché senza trarne le dovute conseguenze sul piano della sua posizione.
D’altra parte, come si è visto sopra, per la giurisprudenza, anche i lavoratori possono essere titolari di compiti, i quali, in presenza di determinate condizioni, possono tramutarsi in posizioni di garanzia, specie qualora siano di tipo prevenzionistico.
Resta fermo, come si è detto sopra, che la titolarità di una posizione di garanzia non può comportare, al verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (Cass. Pen., Sez. IV, 13.07.2018, n. 32216).
Al riguardo, va detto che non sempre i garanti dispongono per ogni situazione dei poteri e delle prerogative impeditive di un dato evento, essendo proprio le situazioni concrete a determinare l’ambito dei poteri impeditivi esigibili da costui di volta in volta. All’obbligo giuridico di impedire l’evento in capo al garante deve accompagnarsi l’esistenza di poteri fattuali, che gli consentano effettivamente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei ad evitare il verificarsi dell’evento. L’agente non può rispondere del verificarsi dell’evento, neppure in chiave di cooperazione colposa, se, pur individuato garante in virtù della qualifica che ricopre, non disponga della possibilità di influenzare il corso degli eventi tramite dispendio d’una propria attività (Cass. Pen., Sez. IV, 01.02.2018, de. 28.02.2018, n. 9167).
Avuto riguardo all’elevato numero di processi aventi ad oggetto infortuni sul lavoro, certo è che un eventuale intervento del legislatore in ordine alle responsabilità delle varie figure cooperanti a vario titolo nella filiera della tutela della sicurezza sul lavoro, avrebbe il pregio di fare chiarezza, con la conseguenza di incanalare meglio l’interpretazione delle norme del TUSL, le quali, è bene ricordarlo, sono poste a tutela dell’interesse giuridico più importante.
In questa sede non ci si sofferma sulla condanna del datore di lavoro, che si colloca nel solco di numerosi precedenti.
Raffaele Bergaglio, avvocato penalista in Milano
Comments